Rimozione delle barriere di genere e inserimento lavorativo: verso l’autonomia delle vittime di tratta

lunedì 18 Ottobre 2021

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Alla luce degli sviluppi che hanno interessato le modalità di sfruttamento sessuale di donne migranti nel corso degli ultimi due anni, e analizzando le condizioni di marginalità delle donne vittime di tratta in una prospettiva di genere, quali sono i bisogni e quali le sfide per contrastare il fenomeno della tratta?

Partendo da un’analisi generale del fenomeno e basandoci anche sul nostro lavoro volto a supportare l’inserimento socio-lavorativo e il benessere delle donne, abbiamo raccolto alcuni spunti di riflessione in occasione della 15° Giornata Europea contro la Tratta.

Introduzione

“La tratta di esseri umani è un reato grave, spesso commesso nell’ambito della criminalità organizzata, e costituisce una seria violazione dei diritti fondamentali esplicitamente vietata dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. La prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani sono una priorità dell’Unione e degli Stati membri. […]
La presente direttiva riconosce la specificità di genere del fenomeno e che la tratta degli uomini e quella delle donne hanno spesso fini diversi. Per questo motivo, anche le misure di assistenza e sostegno dovrebbero integrare una specificità di genere laddove opportuno”.

Con queste chiare e semplici parole, la Direttiva 2011/36/UE riconosce la gravità del fenomeno della tratta degli esseri umani, nonché la necessità di tenere in forte considerazione le peculiarità legate al genere delle vittime di tale crimine.

Ad oggi, è tristemente noto come questo crimine colpisca soprattutto donne e giovani ragazze, europee e non, costrette a prostituirsi forzatamente nelle principali città europee. In base agli ultimi dati raccolti dalla Commissione Europea tra il 2017 e il 2018, delle 14.145 vittime di tratta individuate in 27 Stati membri, il 60% erano sfruttate a scopo sessuale ed il 72% erano donne. In questo quadro, i minori rappresentano circa un quarto (22%) delle vittime registrate a livello europeo, il 78% sono ragazze ed ancora una volta la forma principale di sfruttamento risulta essere quello sessuale. Nel 2020, l’81% delle vittime di tratta identificate in Italia, su 2040 persone assistite, sono donne, di cui oltre la metà (52%) rientrano nell’ambito dello sfruttamento sessuale (Osservatorio Interventi Anti-tratta, 2020).

La tratta come forma di violenza di genere

Sebbene la tratta sia un fenomeno in continua evoluzione, lo sfruttamento di donne e ragazze rappresenta una costante. Oltre alle condizioni di vulnerabilità condivise dalla stragrande maggioranza delle vittime di tratta, la violenza di genere subita da donne e ragazze nei loro paesi di provenienza costituisce un fattore preponderante nel processo che porta ai circuiti dello sfruttamento sessuale (Abbatecola, 2018).

Il fenomeno della tratta è esplicitamente incluso nella definizione di violenza di genere: “La violenza contro le donne dovrà comprendere […] la violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene all’interno della comunità nel suo complesso […] incluso il traffico delle donne e la prostituzione forzata” (Nazioni Unite, 1993).

Nonostante sia spesso trattata come fenomeno a sé stante, la tratta rientra pienamente all’interno delle diverse forme di violenza di genere, perché le stesse dinamiche che ritroviamo alla radice della violenza di genere – potere, controllo, mancanza di parità e di diritti umani – si manifestano nei casi di tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Senza entrare nel dibattito sulla contrapposizione tra coercizione e autodeterminazione, tra vittima e sex worker, un approccio di genere è necessario per analizzare il fenomeno: le donne vittime di tratta subiscono violenza perché considerate “meno importanti” nelle società nelle quali vivono, nei paesi d’origine come nelle destinazioni in cui arrivano, perché non sono libere di auto-determinarsi, e facilmente altre persone, spesso uomini, prendere il controllo dei loro corpi e delle loro vite.

Nel caso della Nigeria, le donne vivono in una posizione di estrema marginalità all’interno di una società maschilista e gerarchica, che riesce a imporre costrutti ideologici e mentali fortissimi sulle ragazze: come evidenziato da numerosi studi di ActionAid e BeFree e Melting Pot, esse subiscono matrimoni forzati, violenza economica e altri tipi di violenza tra le mura domestiche e all’interno delle strutture familiari già nel paese d’origine, trovandosi relegate in una posizione di subalternità. All’interno del sistema criminale legato allo sfruttamento, la figura maschile assume anch’essa un ruolo cruciale attraverso i cosiddetti boyfriend. Tali figure sono spesso assoldate dalle stesse madam al fine di “corteggiare” le ragazze e fare leva sul legame affettivo che si viene ad instaurare per convincerle a restare nel giro della prostituzione. Una volta arrivati in Europa, il boyfriend può sfruttare la ragazza anche per acquisire un permesso di soggiorno, per poi dileguarsi non appena ottenuto ciò che desidera. Altre volte invece, la figura del boyfriend entra il gioco inscenando un finto “salvataggio” dalla madam – si tratta in realtà di un’altra forma di sfruttamento e ben presto ricatto, questa volta basata sull’amore e sulla riconoscenza che la donna deve all’uomo proprio per averla “tratta in salvo”. In questo contesto e in assenza di un ordinamento giuridico forte e intenzionato ad arginare questo fenomeno, la tratta diventa un ulteriore – e più redditizio – strumento in mano agli uomini per esercitare il loro potere.

Nel caso delle donne provenienti dall’Est Europa, come evidenziato da Abbatecola, nella maggior parte dei casi il racket è gestito interamente da uomini vicini alle vittime che, sfruttandone abilmente le vulnerabilità, manipolano le donne facendo leva soprattutto sui ruoli di genere: da una parte l’uomo forte, virile, che si prenderà cura della donna; dall’altra la donna fragile, da proteggere, che ha come unico potere quello sessuale e che è spinta dai modelli della società in cui vive a trovare un uomo al quale affidarsi.

In tale ottica, nella nuova strategia di eradicazione della tratta presentata il 14 aprile 2021, la Commissione riafferma chiaramente come la tratta a scopo di sfruttamento sessuale sia a tutti gli effetti una forma di violenza di genere che affonda le sue radici nella diseguaglianza e nella discriminazione di genere patita da donne e giovani ragazze, e mettendo in risalto la “dimensione di genere” del fenomeno, rivolge particolare attenzione a donne e minori, così come alle misure per favorire la loro rapida identificazione, garantire adeguato sostegno, protezione ed emancipazione.

A livello europeo, il raggiungimento di tali obiettivi rimane tuttavia estremamente problematico e numerosi sono gli ostacoli da superare per raggiungere la piena autonomia da parte delle donne vittime di tratta. La pandemia da Covid-19 ha certamente rallentato il processo di identificazione e supporto delle vittime, le cui vulnerabilità, spesso sommandosi a problematiche preesistenti, si sono fortemente acuite. In tal senso, oltre ai limiti strutturali e burocratici nei paesi ospitanti, le barriere culturali e di genere ostacolano il processo di emancipazione nonché la fuoriuscita delle donne dai circuiti dello sfruttamento, ben prima dell’arrivo della pandemia (GRETA, 2020).

L’accesso al mercato del lavoro per donne migranti vittime di tratta – l’impegno del CESIE

Povertà ed esclusione sociale contribuiscono ad esacerbare la condizione di vulnerabilità vissuta dalle donne vittime di tratta. In tal senso, l’accesso al mercato del lavoro può consentire alle donne di “ricostruirsi una vita” e raggiungere una piena indipendenza, riducendo fortemente i rischi di “re-trafficking” (GRETA, 2020).

Nonostante ciò, favorire la piena emancipazione delle donne vittime di tratta rimane a tutt’oggi un’impresa piuttosto ardua, benché non impossibile. Come recentemente affermato dalla stessa Commissione, “i programmi di reinserimento e riabilitazione devono essere ulteriormente sviluppati e le opportunità per soluzioni durevoli, quali l’inclusione nel mercato del lavoro, sono scarse”. In questo caso, la pandemia ha certamente giocato un ruolo di primo piano nel peggiorare le condizioni economiche delle fasce più vulnerabili della popolazione: lo svolgimento di lavori poco qualificati, la mancanza di garanzie, così come le condizioni di lavoro precarie hanno esposto le donne, già in condizione di vulnerabilità, ad un alto rischio di perdere il proprio impiego in tempi di crisi. A questo riguardo, i problemi di lunga data che caratterizzano il mercato del lavoro nel Sud Italia sono stati aggravati dalla pandemia (è stato registrato un calo del 4,5% degli occupati nel primo trimestre del 2020, tre volte più alto rispetto al resto d’Italia). In questo quadro, le donne migranti, incluse le vittime di tratta, hanno incontrato enormi difficoltà nei loro tentativi di accedere al mercato del lavoro in Sicilia. Sulla base delle storie raccolte dal CESIE, molte vittime di tratta residenti a Palermo o in altre città siciliane hanno spesso fatto affidamento sulle proprie comunità di appartenenza per trovare lavoro altrove e, allettate da opportunità lavorative, sono partite verso le regioni del Nord in cerca di condizioni di vita migliori. Secondo quanto riferito dalle donne, queste ultime si sono però spesso ritrovate a sprecare tempo e risorse prima di rendersi conto della “falsa natura” di tali opportunità, incontrando inoltre il rischio di essere ri-vittimizzate o private dei loro documenti. Tutto questo ha ripercussioni negative sui processi di integrazione socio-economica avviati a Palermo o più in generale in Sicilia, compromettendo anche la qualità dell’assistenza fornita da servizi di supporto specializzati e da ONG locali.

Oltre ai fattori esterni che complicano la ricerca di un impiego da parte delle donne, gli ostacoli verso il raggiungimento dell’autonomia sono molteplici: 

  • basso livello d’istruzione,
  • assenza di competenze professionali spendibili nel mercato del lavoro,
  • mancato riconoscimento delle qualifiche ottenute nel paese d’origine,
  • scarsa conoscenza della lingua italiana,
  • scarse competenze digitali.   

Nel corso degli ultimi 3 anni, il CESIE ha portato avanti una serie di progetti europei volti proprio a favorire l’inserimento socio-economico delle donne vittime di tratta attraverso la realizzazione di sessioni di orientamento, consulenza, formazione e supporto psicologico. L’importanza di tali attività risiede proprio nella volontà di offrire alle donne gli strumenti e le competenze necessarie per accrescere le opportunità di trovare un impiego e ridurre le possibilità di permanenza o ritorno nei circuiti dello sfruttamento. 

Attraverso le  sessioni di supporto psicologico e la formazione per promuovere l’occupabilità, realizzati all’interno del progetto HEAL, le donne partecipanti hanno lavorato sull’acquisizione di competenze chiave quali la lingua, la comunicazione, e le competenze digitali al fine di guadagnare un’indipendenza economica, incidendo quindi sull’identità personale e sull’autostima, oltre a contribuire alla loro integrazione nella società. In particolare, in collaborazione con il Centro PENC di Palermo, un importante lavoro di arte-terapia (ovvero la creazione delle fanzines) combinato con metodologie sensibili alla cultura, al genere e all’etnopsicologia, ha permesso a queste donne di creare dei prodotti artistici utili per esprimere chi sono e cosa vogliono essere, di gestire emozioni difficili, facilitare la guarigione e rivendicare la propria vita sentendosi ascoltate e comprese.

All’interno del progetto BASE, abbiamo promosso il dialogo e la cooperazione tra professionistз di diversi servizi di supporto e mediatrici culturali con diversi background, per analizzare insieme, in modo integrato, le strategie di sostegno a ragazze e donne migranti sopravvissute alla violenza di genere. A tutti i livelli, dal locale all’internazionale, la collaborazione ha portato diversi benefici: le partecipanti, attraverso un programma di capacity-building e altre attività formative come quelle per Consulenti Culturali, hanno condiviso esperienze, pratiche e metodologie per prevenire la violenza di genere, per  rafforzare gli sforzi e cercare soluzioni a problemi comuni; inoltre, si è posta molta attenzione sulla centralità del ruolo delle mediatrici culturali, fondamentale nella strutturazione di servizi di supporto che tengano conto dei diversi contesti culturali delle beneficiarie.

Con il progetto TOLERANT, abbiamo lavorato per favorire l’integrazione e l’accesso nel mondo del lavoro di donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale. In particolare, abbiamo sviluppato una guida estremamente dettagliata per supportare  organizzazioni della società civile, operatori e servizi pubblici nell’offerta di servizi integrati di assistenza lavorativa rivolta a con donne vittime di tratta. Inoltre, seguendo gli step contenuti nella Guida, in ogni paese gli stessi partner del progetto hanno fornito servizi di supporto finalizzati all’inserimento lavorativo delle donne vittime di tratta. Tali attività, basate su un approccio di genere, erano focalizzate sulla creazione di un piano individuale di integrazione volto a sviluppare le competenze trasversali, linguistiche e digitali. In questo quadro, la ricerca del lavoro o di opportunità formative, è partita sempre e soprattutto dai bisogni, dalle esigenze e dalle aspirazioni delle singole persone. A Palermo, il CESIE ha assistito 22 donne, la maggior parte di origine nigeriana. Tra le donne che si sono rivolte al servizio di supporto, 10 avevano un’età inferiore ai 25 anni mentre il resto di loro (12) ha dichiarato di avere un’età tra i 26 e 45 anni. La quasi totalità delle donne assistite sono state informalmente identificate come vittime di tratta (identificate come tali dal CESIE). Molte di loro sono state segnalate da parte di professionistз che lavorano in centri di accoglienza locali o ONG che forniscono servizi ai ed alle migranti nell’area metropolitana della città di Palermo. L’offerta dei servizi ha riguardato tutte le tipologie previste dal progetto TOLERANT. I più comuni sono stati: sviluppo del progetto di integrazione individuale; counseling individuale (che includeva l’analisi dei fabbisogni, il bilancio delle competenze, la valutazione dei desideri e dei sogni); rafforzamento delle soft/life skills; informazioni sul mercato del lavoro locale.

Il progetto YU WOK 2 END HT si focalizza invece sulla sensibilizzazione dei giovani contro la tratta, fornendo alle operatorз giovanili validi strumenti al fine di prevenire, identificare e dare sostegno alle potenziali giovani vittime di tratta. Sulla base della Ricerca sull’identificazione delle vittime di tratta dagli operatori giovanili, stiamo sviluppando delle risorse digitali e una serie di attività pratiche che ci permetteranno di lavorare con operatorз giovanili e comunità locali.

 Alcune considerazioni sulle conseguenze della pandemia sulla tratta a scopo di sfruttamento sessuale

  • Alla luce di quanto detto sopra, la perdita così come la difficoltà di ottenere un lavoro, unite al persistere di barriere di genere che ne limitino la libertà individuale, aumentano la condizione di povertà e marginalità sociale vissuta dalle donne, a vantaggio di chi le sfrutta, sia uomini che donne. Tale trend è confermato anche dall’ultimo rapporto Piccoli Schiavi Invisibili di Save the Children secondo il quale l’assenza di valide opportunità lavorative e la ricerca di strategie per garantire il sostentamento della famiglia possono favorire il rischio di re-trafficking.    
  • Ciò è particolarmente vero se messo in relazione alla condizione vissuta nel corso degli ultimi anni dalle donne nigeriane all’indomani dell’editto dell’Oba Ewuare II, importante figura religiosa dello Stato nigeriano di Edo. Emanato il 9 marzo del 2018, l’editto dell’Oba lanciava una maledizione contro i trafficanti e le maman, e dichiarava sciolto il giuramento che legava le vittime di tratta al pagamento del debito contratto per raggiungere l’Europa: le donne sarebbero state finalmente libere. Tale evento ha però tradito le aspettative, soprattutto quelle delle stesse donne, ed è risultato essere un gesto tanto simbolico quanto effimero. Come emerso nel corso della tavola rotonda sulla tratta nigeriana organizzata dall’ASGI il 16 aprile 2021, il fenomeno della tratta a scopo di sfruttamento sessuale persiste e le donne continuano ad essere reclutate, anche in altri Stati nigeriani, e sottomesse attraverso metodi ancora più violenti. Detto ciò, va comunque sottolineato che, all’indomani dell’editto, la riorganizzazione del business dello sfruttamento sessuale da parte dei trafficanti non è stata immediata e molte donne, soprattutto quelle provenienti da Edo State, hanno creduto alle parole dell’Oba dichiarandosi libere e senza più obblighi verso le proprie maman. Per queste donne, la speranza di una vita migliore e la ricerca della libertà si è scontrata sin da subito con l’assenza di reali opportunità lavorative e le difficoltà riscontrate nell’accesso al mercato del lavoro.  Quali alternative e quali prospettive di emancipazione sono state effettivamente offerte a quelle donne intenzionate ad uscire dal circuito dello sfruttamento e convinte a non prostituirsi più? Come affermato dall’Associazione PIAM Onlus di Asti, in Italia gli interventi di sostegno alle vittime di tratta, almeno nell’immediato, non sono stati all’altezza della “portata epocale” rappresentata dall’Editto dell’Oba. A tale riguardo, la mancanza di valide alternative e maggiore supporto nel processo di inserimento socio-economico innalza i rischi di re-trafficking e complica il percorso di emancipazione delle vittime di tratta.     
  • Un dato preoccupante su tutti riguarda l’incremento della tratta a scopo di sfruttamento sessuale all’interno di luoghi chiusi. Il passaggio dall’outdoor all’indoor, oltre alle misure restrittive legate alla pandemia, è legato, tra le altre cose, alla necessità delle vittime di tratta di ricercare luoghi “più sicuri” dove subire meno controlli da parte delle forze dell’ordine e risultare meno soggette alle ordinanze comunali contro la prostituzione. Nonostante l’incremento registrato nel periodo della pandemia, secondo Gianfranco Della Valle, referente operativo del Numero Verde nazionale Anti-tratta, tale tendenza ha origine ben prima del 2020. Un dato confermato anche da Alberto Mossino, presidente di PIAM Onlus di Asti, secondo il quale le modalità di sfruttamento hanno fatto registrare un cambiamento “da almeno quattro anni”, con particolare riferimento alla tratta delle donne nigeriane le quali sono sempre più spesso costrette a lavorare all’interno delle cosiddette Connection houses. In questo contesto va ricordato come, già dai primi anni 2000, la criminalizzazione delle prostitute, ritenute spesso responsabili dell’insicurezza delle zone in cui erano costrette a prostituirsi, ha spinto le vittime di tratta a ricercare luoghi più appartati e meno visibili, optando spesso per i luoghi chiusi (Candia e Garreffa, 2011). Misure unicamente repressive, come la proibizione della prostituzione su strada, hanno dunque in parte favorito l’aumento del sommerso e dello sfruttamento della prostituzione indoor (Antonietti e Ravagnani, 2011). La prostituzione al chiuso, con particolare attenzione alle donne nigeriane, genera profonda preoccupazione. Essa rende quasi impossibile ogni forma di intervento da parte dei servizi anti-tratta, la cui opera si limita principalmente alle donne prostituite in strada. Per l’Unità mobile di strada risulta di fatto impossibile entrare all’interno degli appartamenti dove le donne vengono costrette a prostituirsi e per di più, la loro condizione di invisibilità ha reso estremamente complicato per chi lavora sul campo l’opera di identificazione ed emersione delle vittime stesse.

In occasione della 15° Giornata Europea contro la tratta risulta più che mai attuale domandarsi come sia possibile rispondere in maniera adeguata alle trasformazioni del fenomeno della tratta a scopo di sfruttamento sessuale.

Solo un lavoro di rete, istituzionalizzato e costante nel tempo, capace di coinvolgere tutte le realtà locali impegnate sul territorio, ognuna con le sue peculiarità e competenze, può contribuire al contrasto dello sfruttamento sessuale delle donne ma soprattutto al loro inserimento sociale e lavorativo. A tale riguardo, va ribadito come l’attivazione di percorsi efficaci di orientamento e formazione che preparino le donne a ricercare attivamente un impiego sia un requisito fondamentale per il raggiungimento di una piena autonomia.

Bibliografia

Manuali: 
 
Abbatecola Emanuela, Trans-migrazioni: Lavoro, Sfruttamento e violenza di genere nei mercati globali del sesso, Rosenberg&Sellier, 2018. 

Antonietti Anna, Ravagnani Luisa, La nuova lotta alla prostituzione, in “Crimen et Delictum” 1 (2011)

Candia Giuliana, Garreffa Franca, Migrazioni, tratta e sfruttamento sessuale in Sicilia e Calabria, Milano, FrancoAngeli, 2011.

Report e Articoli: 

ASGI, Tavola Rotonda “La trasformazione delle modalità di assoggettamento delle vittime di tratta nigeriane a scopo di sfruttamento sessuale”, 16 aprile 2021. 

ActionAid, Mondi connessi - La migrazione femminile dalla Nigeria all’Italia e la sorte delle donne rimpatriate, giugno 2018.

Bellingreri Marta, Gli effetti dell’editto Oba sulle donne nigeriane, schiave sessuali in Italia, in “Open Migration”, 20 settembre 2018.

GRETA, 10th General Report on GRETA’s activities, 2020.

Save The Children,  Piccoli Schiavi Invisibili, XI Edizione, 2021. 

SVIMEZ, Press Release on the 2020 Report.


Direttive, Comunicazioni e Documenti dell’Unione Europea: 

DIRETTIVA 2011/36/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 5 aprile 2011 concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI, Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 101/1, 15.04.2011. 

European Commission, COM(2021) 171 final - EU Strategy on Combatting Trafficking in Human Beings 2021- 2025, 14.04.2020.

European Commission, Data collection on trafficking in human beings in the EU, 2020.

Commissione Europea, COM(2012) 286 final - La strategia dell’UE per l’eradicazione della tratta degli esseri umani (2012 – 2016), 19.06.2012.  
 

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