La condizione di migrante è da sempre connaturata al genere umano. Tutti e tutte siamo migranti, lo siamo stati o potremmo esserlo. Nonostante ciò, questa condizione talvolta genera disuguaglianze, divisioni che vedono un “noi” da proteggere e un “loro” da escludere.
Tutte le condizioni di spostamento, che per ipotesi sono momentanee, diventano per alcuni perpetue. La violenza strutturale delle società occidentali nei riguardi di chi si muove, di chi fugge, non ha fatto altro che acuirsi negli ultimi decenni.
Sebbene certe volte le leggi pongano dei veti innanzi alla violazione dei diritti umani e si adoperino formalmente per tutelarli, in altre occasioni quelle stesse leggi diventano fonte di discriminazione.
La legge non è l’unica fonte di violenza nei confronti di chi, per necessità o proprio desiderio, intraprende un viaggio. Le parole, la retorica, la mancanza di strutture a sostegno dell’inclusione di persone migranti nelle società di arrivo, acutizzano fattori di diseguaglianza e generano instabilità.
La battaglia che le democrazie occidentali, e non solo, hanno dichiarato di volere combattere proclamando le Carte dei Diritti dell’Uomo si arena sul fondo del Mar Mediterraneo e sulle cime delle catene montuose che ci dividono dall’Asia. Si arena anche davanti ai muri del Messico, negli accordi con la Tunisia e la Libia, negli scambi di migranti con persone della politica di dubbia integrità.
Intanto, l’opinione pubblica viene influenzata dai messaggi veicolati da radio, televisioni, giornali e social network che promuovono una percezione negativa delle migrazioni, contribuendo così alla proliferazione di atteggiamenti di chiusura nei confronti di chi proviene da diverse realtà. Da questi sentimenti di paura e insicurezza prende vita la retorica dell’invasione, un linguaggio discriminatorio che si declina su più livelli di odio, online e offline.
La nostra responsabilità, della cittadinanza tutta, è di ripensare la convivenza come questione culturale e politica, promuovendo l’educazione alle differenze attraverso un approccio formativo trasversale, con l’obiettivo di far crescere cittadini e cittadine che rispettino le differenze sessuali e di genere, religiose, politiche, etniche e culturali.
Bisogna strutturare percorsi di formazione sulla gestione della diversità, sullo sviluppo di competenze interculturali con giovani, con chi educa e con il mondo imprenditoriale perché si crei una società aperta e con senso critico.
L’educazione, la condivisione e il rispetto per le altre persone costituiscono le fondamenta della resistenza contemporanea. È un ritorno ai principi fondamentali delle relazioni umane, per cui nessuno viene lasciato indietro.
Oggi non vogliamo solo parlare di naufragi o commemorare le perdite di vite umane in mare e sulla terra. Vogliamo lanciare un appello alla cittadinanza affinché ciò che è altro da noi non venga visto come un nemico da combattere. La diversità è una ricchezza, non una minaccia.