Disuguaglianze nella distribuzione dei centri antiviolenza in Italia

lunedì 22 Luglio 2024

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Dall’analisi dei dati ISTAT e 1522 emerge una grande eterogeneità nella distribuzione dei centri antiviolenza sul territorio italiano. Soprattutto al Sud e nelle Isole, il loro numero risulta significativamente inferiore che nel resto d’Italia. Con T-ESSERE PONTI cerchiamo di lavorare sulle lacune del sistema, portando avanti “Azioni Ponte” che consentano l’accesso di ognunǝ ai sistemi di supporto, in un’ottica intersezionale.

Se la violenza di genere è un fenomeno gravemente diffuso, tanto globalmente quanto sul territorio nazionale, combatterla richiede da una parte soluzioni a lungo termine, che agiscano sul sistema nel suo complesso, e azioni immediate, che diano risposte urgenti e concrete a chi chiede supporto.

Tra queste ultime, i centri antiviolenza, in quanto strutture specializzate, servono come luoghi sicuri dove le persone possano trovare sostegno psicologico, informazioni legali e aiuto pratico per affrontare situazioni di violenza. La loro presenza rende inoltre effettivo quanto disposto dalla Convenzione di Istanbul, che, al suo Articolo 25, chiede agli stati membri di adottare le misure necessarie per garantirne la creazione e l’effettivo funzionamento.

L‘Istat ha iniziato dal 2018 a raccogliere dati relativi alle prestazioni e ai servizi offerti dai Centri antiviolenza sul territorio nazionale. Dall’analisi delle informazioni disponibili emerge quanto, benché il numero assoluto di centri attivi sia in effettivo aumento, la distribuzione degli stessi sul territorio nazionale non è di fatto omogenea. Infatti, come dimostra il grafico sottostante, il numero di CAV – in termini assoluti – nel Sud e nelle Isole risulta significativamente inferiore che nel resto d’Italia.

  • Distribuzione percentuale centri antiviolenza per area geografica in Italia
Fonte: Istat; Mappatura 1522.

Tuttavia, uno sguardo ai dati in termini assoluti non si rivela sufficiente a restituire la complessità della situazione attuale; con riferimento ai numeri che emergono dalla mappatura 1522, che mettono in prospettiva il numero di CAV sul territorio rispetto alla popolazione regionale, la situazione appare ancor più eterogenea a livello territoriale. Infatti, se in Umbria la copertura è di un CAV ogni 43.000 donne, in Sicilia la media è di un centro ogni 100.000, con una copertura che appare sufficiente a raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla Convenzione di Istanbul solo nella provincia di Siracusa, dove è presente un centro ogni 50.000 donne.

  • Numero dei centri antiviolenza ogni 50.000 donne
Fonte: Elaborazione Tortuga su dati ISTAT e mappatura 1522

Inoltre, eterogeneità emerge anche rispetto al numero di persone impiegate in maniera retribuita e di lavoratorɜ volontariɜ presenti nei CAV. Ad esempio, in Sicilia e nelle Marche si contano circa 2 persone retribuite ogni 50.000 donne, mentre in Umbria questa proporzione sale a 7. Anche se lɜ lavoratorɜ volontariɜ rappresentano senza dubbio una risorsa di fondamentale importanza per la sopravvivenza di queste realtà, fare affidamento largamente sul lavoro volontario per il funzionamento dei servizi potrebbe compromettere la continuità e l’efficienza degli stessi.

In conclusione, l’analisi della distribuzione dei Centri antiviolenza evidenzia una serie di disparità territoriali che richiedono interventi mirati. Sebbene vi sia un aumento del numero assoluto di centri attivi, è evidente che la copertura e l’efficienza dei servizi variano notevolmente da regione a regione. È essenziale affrontare queste disuguaglianze attraverso strategie coordinate e intersezionali, garantendo una distribuzione equa e una fornitura adeguata di risorse in tutte le aree del paese. Inoltre, è importante considerare l’impatto del volontariato nel settore, bilanciando la necessità di supporto volontario con l’importanza della stabilità e della continuità dei servizi.

Per affrontare queste sfide, con T-ESSERE PONTI abbiamo portato avanti una riflessione costruttiva, che ha ragionato sulle difficoltà che le donne affrontano nell’accedere ai servizi e ai sistemi di presa in carico, in un’ottica intersezionale. Grazie ad essa abbiamo sviluppato delle “Azioni Ponte”, con cui intendiamo portare avanti iniziative concrete volte a colmare le lacune del sistema e  promuovere una cultura di solidarietà e consapevolezza nella lotta contro la violenza di genere.

“T-ESSERE PONTI”, un progetto che intende potenziare l’offerta dei servizi territoriali per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere attraverso un percorso di trasformazione sociale. L’agency delle donne straniere traduce in pratiche effettive il cambio di passo necessario, proponendosi come mentori e punti di riferimento all’interno delle proprie comunità di origine.

Le protagoniste di questo percorso presentano con entusiasmo il loro percorso di crescita e di formazione nel contesto della progettualità del “Gruppo Ponti”. Per saperne di più contatta Georgia Chondrou: georgia.chondrou@cesie.org o tessereponti@cesie.org.

A proposito di COMMUNITY LINKAGE

COMMUNITY LINKAGE – Improving gender-based violence service provision through the empowerment of migrant women as community-based mentors, trainers and agents of change è un progetto finanziato dal programma CERV-2021-DAPHNE dell’Unione Europea.

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Contatta Georgia Chondrou: georgia.chondrou@cesie.org

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