I resoconti dai nostri volontari che tramite il servizio volontario europeo vivono un’esperienza di volontariato in paesi lontani (progetto SVE – Voices From Around the World III), non solo per chilometri ma anche per cultura e tradizioni. Spesso l’incontro ravvicinato e prolungato con le culture diverse è fonte di grande fascino, altre volte lascia turbati e stimola riflessioni profonde sulla propria società e su quella ospitante. L’incontro/scontro crea nei protagonisti un punto di vista non edulcorato e disilluso, mettendo in moto una serie di domande che a volte possono delineare i futuri percorsi biografici e professionali di chi svolge questo tipo di progetti.
Vivo in una città che si chiama Sédhiou, sud del Senegal, Casamance.L’etnia dominante qui è quella mandinga, la più legata alle proprie tradizioni e, necessario dirlo, la più maschilista del Senegal. Le donne qui lavorano sempre: nelle risaie, nei campi, a casa, dappertutto. Non le vedo mai sedute sotto agli alberi di mango a preparare il tè e a guardare la gente che passa.
Se un uomo ha il bicchiere a tre metri di distanza da sé non si alza ma chiede alla sorella, alla quale sto insegnando un gioco a carte, di mollare tutto e portargli il bicchiere e lei lo fa senza fiatare.
In questo posto mi capita di sentire un ragazzo di vent’anni dire che uomini e donne non sono uguali, che se picchia sua sorella perché usa abiti succinti non significa usarle violenza ma
“correggerla”, credo intendesse dire “educarla”. Questo ragazzo l’ho incontrato ad una formazione di Amnesty International il cui tema era la lotta alla violenza sulle donne. La cosa più bizzarra è che il suo intervento non ha suscitato quasi la minima reazione da parte dei responsabili della formazione. Non posso immaginare cosa pensi veramente questo ragazzo.
Le ragazze a volte mi guardano con diffidenza, sento il loro sguardo che mi osserva e non capisco perché, non so se devo sentirmi in difetto o se chiedergli cosa c’è che non va, in ogni caso difficilmente mi parlano. Se devono darmi un esempio di come sedurre un uomo o attirare la sua attenzione, l’unica tecnica che conoscono sono abiti succinti e atteggiamento sessualmente provocante. Sono delle ragazze scolarizzate a dirmelo e a pensare che il cervello con gli uomini non serva poi tanto.
Alla fine scopro che in questa zona del Senegal in 95% delle donne ha subito l’escissione, pratica che mutila la possibilità di provare piacere sessuale per tutta la vita, senza contare il resto dei rischi. Di questo non si parla, soprattutto non con i toubab (i bianchi). Penso allora a quanto sono belle queste donne e ai loro dolcissimi sorrisi, alle risate corpose e rumorose, alle loro schiene dritte e fiere e mi chiedo come si faccia a vivere una vita a queste condizioni e a sorridere, senza ribellarsi. Più segreti della loro vita riesco a rubare, meno riesco a
guardarle allo stesso modo. Con questi pensieri passo per la strada principale di Sédhiou, il venerdì alle due del pomeriggio, il momento della preghiera più importante della settimana.
Sono immersa nei miei pensieri e mi avvicino alla Moschea, mi guardo intorno e mi rendo conto che questa è invasa da un tappeto umano in preghiera, così come ogni angolo a bordo della strada intorno.
Il silenzio che mi circonda è spezzato solo dalla preghiera, un mistico coro di voci. A camminare in quello spazio magico mi sento avvolta da una sensazione di profondo rispetto per questa comunità che si raccoglie interamente in preghiera in onore della morte di tre donne in un incidente stradale, il giorno precedente.
Due aspetti dello stesso luogo, così contrastanti in sé stessi ed in quello che mi trasmettono.
Capire tutto questo è difficile, delle volte io non ci riesco.
Letizia Marongiu