Ciao a tutti, mi chiamo Luca Girgenti, 33 anni, nato e vissuto a Palermo. Con questo breve testo voglio condividere l’esperienza che ho vissuto ad inizio maggio a Sarajevo, partecipando al secondo incontro tra le organizzazioni del progetto Erasmus+ denominato “Inclusion Reloaded”.
Il progetto è stato sviluppato per affrontare e consolidare la pratica delle discipline sportive che promuovono l’inclusione dei giovani marginalizzati e dei giovani con disabilità motorie e intellettive. Il progetto ha coinvolto ben 8 organizzazioni provenienti da Italia, Serbia, Bosnia-Erzegovina e Portogallo, e l’incontro programmato a Sarajevo consisteva in una Study Visit – Exchange of Good Practices, ovvero un appuntamento tra le organizzazioni dedicato alla condivisione e allo scambio di buone pratiche e di esperienza sul campo. Ad ospitarci abbiamo trovato le due organizzazioni bosniache SPID e CENTAR, rispettivamente un club di nuoto per persone con disabilità ed un club sportivo per non vedenti e ipovedenti.
Sin dal primo istante in cui Suzanne mi ha invitato a partecipare al progetto il mio interesse è stato fortissimo, infatti le ho subito detto di sì e le mie aspettative, durante le giornate passate a Sarajevo, sono state decisamente superate.
La prima giornata è stata dedicata ad un intenso tavolo di presentazione della storia di queste organizzazioni, dei dati raccolti, tecnico-logistici e non, e del lavoro svolto negli ultimi anni sia con i ragazzi ma anche con le loro famiglie. All’incontro hanno partecipato una ventina di persone, tra accademici, professori, dottorandi e ricercatori. Erano presenti anche dirigenti, un gruppo di atleti, coach, trainers e diversi facilitatori. Dopo ogni presentazione le domande non si esaurivano mai ed il dibattito è stato interessante ed inspiratorio. La passione di queste persone permeava l’intera sala e per me è stato un privilegio potere ascoltare tutte queste informazioni.
La giornata successiva, invece, è stata più volta alla pratica e alla conoscenza degli spazi utilizzati dalle organizzazioni. Abbiamo fatto visita ad una sessione di allenamento del club SPID all’interno della piscina olimpionica di Sarajevo, ed osservato come i coach gestiscono l’allenamento dei ragazzi in base alla loro età, al tipo di disabilità, nonché al livello di preparazione tecnica. Osservare il gesto motorio di ragazzi, e bambini, nello spettro dell’autismo, o senza uno o più arti e/o malformazioni o sindromi di altra sorta, è stato sconvolgente; la dedizione, l’impegno, la forza di volontà che esprimono ed i loro sorrisi mi hanno segnato nel profondo.
Successivamente abbiamo fatto visita al club CENTAR per ipovedenti e non vedenti. Anche qui le parole d’ordine sono state passione e divertimento. Abbiamo dapprima assistito ad un match di GoalBall, in italiano chiamato Pallarete, di cui personalmente non conoscevo l’esistenza ma che è addirittura praticato sin dagli anni ‘80 alle paralimpiadi. Sul campo, generalmente al chiuso, due team composti da 3 giocatori si affrontano, in estremo silenzio, cercando di lanciare e/o parare una palla che all’interno contiene dei campanelli. Le porte sono alte circa 1,2 m e si estendono per l’intera linea di fondo campo; questo ha le stesse dimensioni di un campo da pallavolo e sul terreno sono presenti dei nastri di scotch che permettono ai giocatori di orientarsi al tatto. Affidandosi all’udito, quindi, i giocatori tirano o intercettano la palla cercando di segnare un goal.
Osservare il gioco in estremo silenzio e compostezza penso sia una delle forme più grandi di rispetto, ma in questo caso è anche necessario perché la partita si svolga al meglio. In questo sport il direttore di gara ha pure il potere di mandare fuori l’intero pubblico pur di garantire le migliori condizioni di gioco. Qualcosa di simile avviene nel tennis.
La cosa bella è che dopo avere assistito è toccato a noi giocare, bendati, contro il team nazionale. Dopo alcuni minuti, utili per prendere confidenza con la propria posizione in campo, il match si è fatto subito avvincente e combattuto. La palla ha una taglia numero 7, come quella da basket, non è semplice da scagliare a mano ed è fatta dello stesso cuoio duro; questo l’ho capito perché in una delle parate è stato il mio naso a fermare la palla, Inoltre dopo una parata non è semplice ritornare alla posizione di partenza e ritrovare, al tatto, i nastri sul pavimento. Un paio di volte ho urtato malamente i pali della porta e forse anche lanciato violentemente la palla sul pubblico.
Finito il match e tolta la benda, ritornato alla mia normalità, non ho potuto non riflettere sul fatto che per questi ragazzi il gioco non finisce con il fischio dell’arbitro, ma continua per tutta la vita. I loro sorrisi, come anche la loro voglia di dimostrare le loro capacità, mi hanno riempito di una gioia unica e grande senso di gratitudine. In questo caso lo sport è stato una vera e propria arena di interazione sociale e di condivisione, un luogo di inclusione e di apprendimento reciproco.
In Italia, a Palermo, sono tornato con maggiore consapevolezza. Grazie a questa esperienza ho capito, ancor più di prima, quanto sia importante supportare queste realtà e la formazione di tutti coloro che operano a contatto con soggetti giovani con disabilità, durante quello che per loro è un lungo e delicato processo di crescita. Per concludere non posso non parlare della ciliegina sulla torta di questo viaggio, ovvero della città che ci ha ospitato: Sarajevo. Questa capitale, che conta meno di trecentomila abitanti, è una piccola perla di multiculturalità e di integrazione religiosa, immersa in uno splendido contesto naturale e dalla mentalità dinamica e conservativa allo stesso tempo, forse a tratti ancora troppo vicina all’ultima guerra ed al periodo del suo assedio, terminato solo nel ’96. Le organizzazioni hanno anche curato il nostro tempo libero affinché potessimo scoprirne i tratti più belli, ed io, accolto dai miei nuovi amici di questa esperienza e circondato da quelle bellissime montagne, ho percepito proprio quel senso di appartenenza che sento quando osservo Palermo dall’alto. Mi sono sentito a casa.