Incontro con Giusy Fabio, vicepresidente dell’Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica (AISF ODV)
La fibromialgia è una malattia invisibile che colpisce milioni di persone nel mondo ma che spesso non viene riconosciuta o compresa. Si tratta di una forma comune di dolore muscolo scheletrico diffuso, affaticamento cronico, problemi cognitivi, disturbi del sonno, gastrici e molto altro, che colpisce circa il 2% della popolazione mondiale.
Chi ne soffre deve affrontare dolori fisici e fatica cronica, ma anche isolamento, frustrazione e disperazione causati dalla conoscenza ancora limitata di questa condizione persino nella medicina specialistica. Ma soprattutto, il mancato riconoscimento della sindrome come patologia invalidante ostacola in Italia un aiuto per diagnosi e cura di tantissimз pazienti.
Per questo è fondamentale il ruolo delle associazioni che offrono sostegno, informazione e speranza a chi vive con questa condizione. Tra queste c’è l’Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica (AISF ODV).
Qualche settimana prima della Giornata Mondiale della Fibromialgia, che ricorre oggi 12 maggio, abbiamo incontrato la vicepresidente di AISF ODV Giusy Fabio. Giusy ci ha raccontato la sua storia da due prospettive diverse:
- quella di paziente di Fibromialgia, che ha dovuto lottare per ottenere una diagnosi dopo sette anni di dubbi e incertezze;
- quella di chi ha deciso di mettersi al servizio degli altri per aiutarli a superare le difficoltà.
L’AISF è stata per lei un’ancora di salvezza e un mezzo per trasformare il suo dolore in un’opportunità di crescita e solidarietà.
Condividere il suo racconto fa parte del nostro lavoro di supporto al benessere psico-sociale, per promuovere resilienza e qualità della vita delle persone che affrontano situazioni di difficoltà o vulnerabilità. Attraverso la testimonianza di Giusy, diamo voce a chi subisce forme di esclusione o discriminazione e, allo stesso tempo, sensibilizziamo l’opinione pubblica e le istituzioni sulla necessità di una maggiore attenzione, cura e tutela.
Vogliamo sottolineare come la prospettiva di genere sia fondamentale anche in questi ambiti, per garantire l’equità e la giustizia per tutte le persone.
Vi lasciamo all’intervista.
Come sei diventata vicepresidente dell’AISF?
Mi definisco innanzitutto una paziente con fibromialgia che ha voluto mettere la sua esperienza a disposizione degli altri, cioè delle persone che soffrono come me di questa patologia, per testimoniare quello che è stato il mio vissuto dopo aver provato sulla mia pelle la sofferenza fisica e mentale, ma soprattutto l’incertezza e l’incomprensione di cosa fosse quello che mi stava succedendo.
Quando ho ricevuto la diagnosi, ho visto nella stanza accanto la segreteria una scritta: “AISF”. Il medico mi disse: “Entra, parliamone. Perché non fai parte dell’associazione?” Ho iniziato piano piano a conoscerla e poi ho pensato: “Io ho avuto la fortuna di avere una diagnosi e di incontrare un’associazione che mi sta aiutando. Devo mettermi a disposizione degli altri”. E così è nato tutto.
Questo è il mio motto: “Nulla avviene per caso”, ho voluto fare della negatività della mia malattia qualcosa di positivo per non sprecarla. Questo è un principio che applico nella mia vita in tutto quello che faccio.
Nel mio caso, non ho ottenuto una risposta fino a sette anni dopo l’inizio dei sintomi. Subito dopo la diagnosi ho deciso che dovevo mettere me e la mia storia a disposizione degli altri per poterli accompagnare in questo arido e spinoso percorso, cercando di farli arrivare prima alle risposte e offrendo loro una rete di supporto per facilitare questo duro processo di accettazione. Accettare la malattia è un lavoro che ho fatto in prima persona, mi sono messa in gioco per convivere con la Fibromialgia in maniera dignitosa, non mi sono fermata ad aspettare un miracolo o la pillola magica. Ma per poterlo fare, si deve avere una buona rete di supporto.
Il titolo di vicepresidente è principalmente uno strumento che mi permette di fare di più, che mi autorizza a poter interloquire con le varie istituzioni, a impormi in certi contesti per dare voce e difendere i diritti e le necessità delle persone come me, che soffrono di questa malattia ancora non riconosciuta.
Definiamo la fibromialgia: malattia, sintomi e segni, diagnosi
Cos’è la fibromialgia?
La fibromialgia (FM) è una sindrome di sensibilizzazione centrale, la presenza di un’alterazione nell’area cerebrale che regola la percezione del dolore. Questa alterazione fa sì che il cervello mandi degli impulsi sbagliati a tutto il nostro corpo causando una sensazione di dolore senza che ci sia un danno organico o neurologico. Di conseguenza, molti organi cominciano ad avere un cattivo funzionamento che degenera in patologie cliniche, come colon irritabile, cistite, offuscamento della vista, ansia, ipersensibilità al tatto, ecc.
Si può immaginare la FM come il famoso gioco del telefono senza fili, quando una parola passava da una persona all’altra e alla fine cambiava completamente. Anche se il comando -il nostro cervello- non è per niente errato, il messaggio che arriva non è corretto. Non si sa ancora quale sia il meccanismo che genera questo corto-circuito. Sappiamo che ci sono degli elementi stressori che possono scatenare la FM, come una malattia, un attacco virale, un intervento, un incidente, o persino dopo aver sperimentato dei traumi che possono essere lutti, separazioni, e soprattutto violenze e traumi infantili. Sono tutti questi elementi stressori, insieme a una predisposizione genetica, a far apparire questa sindrome.
La FM ci fa sentire come in una gabbia, un cemento addosso, perché oltre al dolore che ci blocca e ci limita, abbiamo una rigidità e una sensibilità eccessive a tutto quello che ci circonda: la luce, il caldo, il freddo. È come essere intrappolati in una gabbia di sofferenza da cui non riusciamo a uscire, soprattutto se non abbiamo aiuto. Non è una malattia che ci uccide fisicamente, ma mentalmente. Ci sentiamo incompresi, non accettati, a volte anche attaccati. È una condizione che ti uccide per vie indirette, anche se non è una patologia degenerativa e non compromette gli organi vitali, i pazienti vivono un livello di dolore fisico e mentale insopportabile e non trovano comprensione e accettazione da parte delle persone che li circondano e della società in cui vivono. E così purtroppo molte volte si crolla e si pensa al suicidio come alternativa.
I pazienti subiscono una doppia sofferenza: per la patologia in sé e per il rifiuto da parte dell’intera società e delle istituzioni. Possiamo dire che affermare che la Fibromialgia è una malattia psico-somatica danneggia tutti i pazienti che ne soffrono?
La frustrazione più grande che provano e che percepiamo nei pazienti è quella di non essere creduti. Non piangono quando mi parlano del dolore, ma quando iniziano a raccontarmi il contesto sociale della loro vita: la famiglia, il lavoro, gli amici. Lì li vedo entrare in un vortice di pianto liberatorio e disperato. Questo è quello che li fa stare peggio.
Ecco perché poi si pensa: ma che senso ha vivere? Quindi bisogna intervenire per evitare questo, arrivare velocemente a una diagnosi, portare il paziente a una consapevolezza per migliorare la sua condizione e fargli riprendere in mano la sua vita in modo diverso.
Certo, non si può tornare a essere come prima. Quindi il paziente deve accettare questo cambiamento. Io facevo alcune cose che ora non posso più fare, ma ne faccio altre. Quindi mi sono reinventata in base alla situazione attuale. E chi mi sta accanto deve capire e accettare questo cambiamento. Noi come associazione ci occupiamo anche dei familiari e li sensibilizziamo. Spesso questi hanno dei meccanismi di difesa, soprattutto i figli, di voler creare un muro per non percepire la sofferenza del proprio genitore. Anche lì bisogna stare attenti e agire nella salvaguardia di tutto il nucleo familiare. Non è sempre vero che il coniuge o il figlio non ti sopportano più o non ti sanno essere di aiuto, è una sorta di reazione che si ha. Quindi è importante supportarli per cercare di fargli fare un percorso insieme, ognuno nel proprio ruolo di paziente o di caregiver, per affrontare la cosa in modo unito.
C’è una maniera obiettiva e certa di diagnosticare la Fibromialgia? Quanto tempo, in media, impiega una persona con Fibromialgia a ricevere una diagnosi? Cosa comporta questo ritardo per i pazienti?
Non ci sono esami oggettivi che permettano di diagnosticare la malattia, ma si arriva ad una diagnosi solo dopo aver escluso altre patologie reumatologiche infiammatorie, spesso concomitanti, quindi occorre un consulto reumatologico per fare una diagnosi corretta e individuare se ci sono altre problematiche. Bisogna dunque effettuare una valutazione clinica dei segni e dei sintomi del paziente, basata su scale ed indici del dolore. Quello che manca sono gli indicatori oggettivi della malattia, ovvero i parametri alterati che ne confermino la presenza, e questo rappresenta certamente un grosso problema.
Nonostante questo, negli ultimi anni la diagnosi di fibromialgia è diventata più rapida, grazie alla sensibilizzazione istituzionale e ai fondi disponibili. Prima ci volevano almeno 7 anni, ora si parla di 1 o 2 anni.
Però bisogna stare attenti. Spesso c’è un errore diagnostico perché la fibromialgia si accompagna ad altre patologie reumatologiche, infiammatorie o autoimmuni. Se non si individua la patologia principale, si rischia di peggiorare la FM e quindi di incorrere in danni irreversibili. È fondamentale avere una diagnosi accurata e che i medici siano capaci di distinguere le diverse patologie. Anni fa non si diagnosticava quasi mai la Fibromialgia, adesso invece si usa troppo spesso come etichetta generica.
Hai detto che questa malattia colpisce un po’ tutto il corpo. Quindi si dovrebbe avere un approccio olistico?
Aggiungo anche multidisciplinare e multimodale.
Il problema di noi pazienti è quello di arrivare tardi alla diagnosi e di essere stati esaminati da tanti medici che hanno visto solo il proprio ambito. Non hanno considerato la persona nella sua totalità. Vi ho detto che questa patologia è una sensibilizzazione centrale, quindi parte da una situazione centrale che non può essere vista e gestita nella singola parte. Devi vedere il paziente fibromialgico nella totalità della persona e andare ad agire lì.
Sarebbe ideale avere centri multidisciplinari, dove il paziente viene seguito da diversi specialisti nell’ambito della specifica sintomatologia, ma tutti alla luce del problema principale e in stretto rapporto fra loro. La gestione multidisciplinare deve essere accettata e condivisa dal paziente.
Non esiste una pillola magica. I farmaci che vengono dati sono antidepressivi, anticonvulsivi e miorilassanti, ma non perché il paziente sia depresso o epilettico. Questo è un problema enorme, perché il medico spesso non lo spiega e il paziente abbandona la cura. I motivi sono due: si sente preso per pazzo o ha degli effetti collaterali che non sono stati affrontati dal medico in maniera esaustiva.
Queste molecole servono per equilibrare la disfunzione che si è creata, sono modulatori di percezione, come anche i cannabinoidi – che hanno dato ottimi risultati, ma anche lì bisogna spiegare bene al paziente tutto quello che comportano, anche le difficoltà legislative e sfatare qualche stigma preesistente.
Parliamo di numeri: persone affette, differenza tra donne e uomini e stereotipi di genere
Quante sono le persone affette da Fibromialgia in Italia? Questo numero è inferiore a quello reale? Pensi che ci siano molte persone sotto diagnosticate?
In Italia ci sono circa 3 milioni di persone, ma non abbiamo un report ufficiale perché mancano i registri. Solo da qualche anno esiste il registro nazionale della Società Italiana di Reumatologia, che ha fatto uno studio multicentrico per definire i parametri di gravità della malattia. Questo studio è stato richiesto dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero dell’Economia, che vogliono capire come gestire questi pazienti dal punto di vista economico e assistenziale.
L’obiettivo è di inserire la fibromialgia nel livello essenziale di assistenza (LEA) e di riconoscerla come malattia cronica invalidante, ma solo per i casi più gravi. Questo risolverebbe molti problemi assistenziali e sociali per i pazienti.
Si ritiene che la sindrome FM sia prevalentemente legata al sesso femminile. Qual è la relazione tra uomini e donne? C’è una spiegazione sulla differenza nella prevalenza della FM? Ci potrebbero essere pregiudizi e/o stereotipi di genere a livello sociale e culturale alla base della difficoltà nella diagnosi per gli uomini?
Ad oggi abbiamo una percentuale molto più alta di donne rispetto agli uomini con un rapporto 9:1, ma questo divario si sta restringendo per diversi motivi. Intanto per una questione clinica legata al cambiamento dei criteri diagnostici, non più basati solo sui tender point (NDA i tender points rappresentano dei punti particolari del dolore che si localizzano in prossimità delle articolazioni. Nel caso della fibromialgia, la loro pressione provoca dolore, utile come criterio diagnostico) ma su aree dolorose più ampie che possono essere riconosciute più facilmente anche negli uomini. Ma soprattutto per una questione sociale: l’uomo fibromialgico tende a nascondere i sintomi per vergogna dello stigma che essi comportano, per il senso del dovere percepito nel dover “mantenere la famiglia” e per paura di perdere il lavoro. Quindi il paziente ha ulteriormente sofferto nel suo silenzio. Adesso molti più uomini vengono a chiederci aiuto. “Anch’io sono fibromialgico, anche noi esistiamo”.
Purtroppo la crescita si individua anche fra gli adolescenti. E dopo di Covid, ancora di più. Se pensate che per un adulto questa malattia viene vissuta come del cemento addosso, come una gabbia, immaginate cosa significhi per un ragazzo o una ragazza. Il rischio, oltre alla malattia è anche il bullismo a scuola o fra i pari, l’allontanamento da parte dei tuoi stessi amici perché spesso non puoi neanche uscire, muoverti o fare attività fisica. La tua famiglia o la scuola non ti credono, ti credono svogliato, che sono solo “dolori della crescita” mentre invece spesso i giovani pazienti vivono una tragedia non indifferente che compromette loro decisamente e grandemente il proprio futuro.

Impatto psicologico e socio-economico: conseguenze psicologiche, sociali e lavorative
In che modo la FM influisce sulla vita quotidiana e sulla qualità di vita di una persona? Quanto è dovuto alla condizione stessa e quanto allo stigma sociale e istituzionale?
La fibromialgia ci rende schiavi della malattia. Non possiamo programmare la nostra vita perché il dolore cambia di intensità e di localizzazione. A volte possiamo fare le cose normali, altre volte siamo bloccati da un dolore insopportabile. Questo ci crea problemi nei rapporti umani, sia familiari che sociali. Le persone non capiscono perché un giorno stiamo bene e il giorno dopo no. Ci dicono che è tutto nella nostra testa, che dobbiamo reagire. Allora preferiamo isolarci. Questo ci fa sentire soli e incompresi. Vorremmo che ci fosse più sensibilità e rispetto per la nostra condizione. Vorremmo che ci fosse più informazione e formazione sui sintomi e le cause della fibromialgia. Vorremmo che ci fosse più sostegno e assistenza da parte delle istituzioni e dei medici. Vorremmo poter vivere una vita dignitosa e serena.
Imparare a convivere con il dolore non è un compito facile. Cosa può fare una persona malata di FM per migliorare la sua condizione?
Il movimento e l’alimentazione sono due aspetti fondamentali per la qualità della vita dei fibromialgici. Il movimento aiuta a mantenere la flessibilità e la forza muscolare, a prevenire il dolore e a migliorare l’umore. Ci sono diverse attività che si possono fare, a seconda delle condizioni e delle preferenze di ciascuno. Per esempio, io ho praticato il metodo Feldenkrais, che è una disciplina olistica che favorisce l’apprendimento motorio e la consapevolezza corporea. Altre opzioni sono le vasche in piscina, le camminate o l’attività aerobica. Naturalmente, bisogna sempre consultare il medico prima di iniziare un programma di esercizio fisico.
L’alimentazione invece ha lo scopo di ridurre l’infiammazione interna che si crea in tante malattie croniche come la fibromialgia. Non c’è una dieta unica per tutti, ma ci sono alcuni alimenti che è meglio evitare o limitare, come la caffeina, gli zuccheri raffinati e le farine bianche. Al contrario, si dovrebbero privilegiare alimenti naturali, freschi e ricchi di antiossidanti. In questo modo si può contribuire a migliorare la condizione dei fibromialgici.
Sappiamo che la malattia c’è e non se ne va, ma si può convivere con lei se ci si concentra su qualcosa di piacevole e distrattivo, per esempio l’arte. L’arte è fondamentale per noi: abbiamo fatto uno studio ed è dimostrato che la scrittura, la pittura, la recitazione aiutano a tirare fuori le emozioni e a sentire meno il dolore. Noi infatti lavoriamo molto con laboratori artistici di vario tipo.
A livello psicologico, quanto è importante fare attenzione alla salute mentale nel processo diagnostico e durante tutto il percorso della FM?
Il supporto psicologico è un aspetto fondamentale. Il supporto psicologico non significa che i fibromialgici siano depressi o ansiosi, ma che hanno bisogno di affrontare il loro vissuto traumatico che può essere alla base del dolore cronico. Il supporto psicologico può aiutare a rimodulare la loro percezione del dolore ed a liberarsi dai blocchi emotivi che li limitano. Ci sono diverse terapie psicologiche che possono essere utili, come la terapia cognitivo-comportamentale o la EMDR – Eye Movement Desensitization and Reprocessing. Il supporto psicologico deve essere personalizzato e adeguato alla condizione di ognuno.
Io stessa, che sono considerata una Wonder Woman e un punto di riferimento per molti, ho avuto bisogno di essere supportata perché da sola non ce la potevo fare. Quindi il supporto psicologico è una terapia che deve essere messa alla base del trattamento della fibromialgia.
Ma il supporto psicologico non basta se i pazienti non si mettono in gioco e non vogliono uscire dalla loro condizione. È necessario un percorso di accettazione e di responsabilizzazione che li porti a cercare soluzioni e a non dipendere dagli altri. È anche necessario il supporto dell’ambiente circostante, della famiglia, degli amici, della società e delle istituzioni. Una delle cose che potrebbe migliorare la qualità della vita dei fibromialgici è la consapevolezza della malattia da parte di tutti. Per questo, io e l’associazione abbiamo portato avanti progetti di informazione e formazione sulla fibromialgia, per far conoscere la patologia e le sue implicazioni.
Come la fibromialgia può influenzare la vita lavorativa dellз pazienti?
La fibromialgia ci costringe a reinventare la nostra vita e a far accettare il nostro cambiamento a chi ci sta accanto. Soprattutto i datori di lavoro devono capire che non siamo più quelli di prima, ma non per nostra volontà. Non possiamo fare lo stesso lavoro di prima, ma non siamo degli invalidi. Siamo persone che hanno bisogno di essere tutelate e di poter svolgere la propria esistenza nel modo più normale possibile. Questo purtroppo non succede sempre. L’associazione ha il compito di far sì che queste persone non si sentano e non siano emarginate o discriminate. Noi vogliamo lavorare e contribuire alla società, ma con le dovute condizioni e garanzie.
Nell’associazione ci stiamo impegnando per coinvolgere anche i medici legali e i medici del lavoro, che spesso non sono esperti di fibromialgia. Loro devono valutare le condizioni dei pazienti nelle commissioni o nei controlli. Non devono basarsi sulla mancanza di biomarcatori o di codici, ma su quello che il paziente riusciva a fare prima e quello che riesce a fare adesso. Devono adeguare la loro valutazione alla criticità che vive il paziente.
Sfide attuali: diritti negati
Nel 1992 l’OMS ha riconosciuto la malattia con la Dichiarazione di Copenaghen, includendola nell’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (ICD) (gennaio 1993) con il codice “M79.0: Reumatismo non specifico”. Il Parlamento europeo ha votato nel gennaio 2009 una dichiarazione in cui chiede di mettere a punto una strategia e di riconoscere la sindrome come malattia invalidante, ma attualmente in Italia continua ad essere esclusa dall’elenco delle malattie croniche ed invalidanti.
Che difficoltà ci sono nel riconoscimento della fibromialgia e nel suo inserimento nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)?
Tante componenti politiche stanno lavorando su un testo unico di disegno di legge che risolverebbe molti problemi, tra cui quello dei livelli essenziali di assistenza (LEA) per la fibromialgia. La Commissione LEA riunitasi a dicembre 2020 ha dato parere favorevole all’inserimento di questa malattia cronica invalidante nei LEA, dopo un lungo percorso di audizioni e interrogazioni. Il problema è che l’aggiornamento dei LEA è stato bloccato dal decreto Tariffe del 2017 in conferenza Stato-Regioni. Il decreto è stato approvato ad aprile, si aspetta dunque l’aggiornamento dei LEA nei prossimi tempi. Anche se la fibromialgia è nei LEA, senza rinnovo degli stessi è come sbattere contro un muro di gomma.
Quali sono i diritti e i bisogni delle persone con fibromialgia che non vengono riconosciuti o soddisfatti a livello istituzionale e legale?
I diritti dei pazienti affetti da fibromialgia spesso vengono negati o ignorati dalle istituzioni. Per esempio, la cannabis terapeutica, che potrebbe alleviare i sintomi di questa malattia, non è rimborsabile in tutte le regioni e ci sono sempre problemi di reperibilità e di accordi con le farmacie. Molte altre terapie, come la fisioterapia o la psicologia, sono troppo costose per chi non ha un lavoro o ha un reddito basso. Vogliamo che i pazienti abbiano accesso alle cure e alla salute, ma anche che continuino a vivere la loro vita senza sentirsi invalidi o dipendenti dagli altri.
Abbiamo ottenuto 5 milioni di euro per la fibromialgia dopo le continue pressioni sulle istituzioni. Insieme a Cittadinanzattiva, abbiamo chiesto conto alle regioni di questi fondi, che sono l’unica cosa che ci hanno dato. Vogliamo che i soldi vengano usati per le cure e la salute dei pazienti, che spesso non possono permettersi le terapie necessarie. Abbiamo anche fatto dei tavoli con le regioni per capire le loro esigenze e offrire la nostra collaborazione.
Ora è arrivato il momento per le regioni di presentare i progetti, basati sul lavoro multidisciplinare e sulla centralità. Così i vari centri si coordinano e il paziente è seguito. La fibromialgia è detta “la malattia dei 100 sintomi” e spesso sembrano non correlati. Non basta parlare con il singolo specialista, ma serve un team di esperti che capisca la malattia da più angolazioni. Per fortuna questo si sta capendo e nei centri più riconosciuti si sta creando il centro multidisciplinare con il cardiologo, il reumatologo, il terapista del dolore, il nutrizionista, lo psicologo e il fisioterapista. Noi come associazione vogliamo esserci, perché la sanità partecipata è fondamentale e noi conosciamo gli aspetti che i medici non possono vedere.

Visibilità delle malattie invisibili
Dicono che ciò di cui non si parla non esiste. Questo è il caso della FM, così come di tante altre affezioni come ad esempio vulvodinia o endometriosi. Come possiamo aumentare la consapevolezza della fibromialgia nella popolazione generale, ma anche nel mondo medico?
AISF si occupa di sensibilizzare e formare sia i pazienti che i medici sulla fibromialgia. Infatti, la nostra associazione è composta da pazienti e medici che collaborano volontariamente per diffondere la conoscenza di questa patologia.
Il presidente dell’AISF è il professor Piercarlo Sarzi Puttini, un esperto di fama internazionale nella ricerca sulla fibromialgia, è stato uno dei responsabili scientifici che ha organizzato il congresso internazionale sulla fibromialgia, un evento di grande rilevanza per il settore che rappresenta un’opportunità per formare i medici su questa patologia. Inoltre, ci siamo presentati e continuiamo a presentarci alle istituzioni, portando il materiale scientifico che dimostra l’esistenza e la gravità di questa malattia. Vogliamo far capire alle autorità che questa malattia non è un’invenzione, ma una realtà che richiede attenzione e sostegno.
Dall’altra parte, il nostro obiettivo è anche sensibilizzare i pazienti per incoraggiarli a vivere al meglio la loro vita. Non vogliamo che si sentano invalidi o dipendenti dagli altri, ma che siano sostenuti e supportati. Condividere e parlare con altre persone che hanno la tua stessa condizione è incoraggiante perché ti fa capire che non sei pazza e che non sei sola. Puoi confrontarti con loro e scoprire come risolvono i problemi. Nei centri ci sono anche i volontari delle associazioni, che svolgono un lavoro di sensibilizzazione e formazione fondamentale per il bene del paziente a 360 gradi. Noi informiamo anche il paziente stesso con il nostro materiale informativo e le nostre rubriche online. Più capisci la tua malattia, più puoi combatterla.
Io dico: il mio nemico l’ho iniziato a combattere quando l’ho conosciuto e compreso. Ci sono pazienti che arrivano da noi disperati e si chiedono: che cos’è questa fibromialgia? Che fine farò? Se non sai cosa combatti, come puoi fare? Io ho vinto quando ho avuto la diagnosi, dopo un percorso di 7 anni. Capisci bene che quando il medico mi ha spiegato tutto scientificamente, io ho fatto mille domande e ho avuto le risposte che non avevo mai avuto. Allora ho detto: posso farcela. E ho iniziato a lottare. Se avete una diagnosi di fibromialgia, non dovete arrendervi. Dovete rimboccarvi le maniche e dire: adesso vediamo chi vince. Cerchiamo di stimolare il loro spirito combattivo.
Con AISF facciamo tantissime azioni; abbiamo portato in scena una commedia ironica e divertente. Il nostro messaggio vuole essere sempre positivo, perché vogliamo sciogliere il nero della malattia e infondere coraggio e speranza a chi ci ascolta. Abbiamo anche realizzato una fiaba “La mia mamma non è solo una Principessa” per spiegare ai bambini cos’è la fibromialgia, perché spesso i figli dei malati ne soffrono molto.
Dal 2022, l’AISF promuove l’iniziativa di sensibilizzazione sulla Sindrome Fibromialgica “Il nostro dolore merita riposo”. Il progetto prevede la colorazione (in viola, il colore simbolo della fibromialgia) di una panchina situata nei Comuni che vorranno aderire, con apposizione sulla stessa di una targa esplicativa. Qui a Palermo, per esempio, c’è una panchina viola inaugurata un anno e mezzo fa vicino al Foro Italico. Vogliamo farci vedere e aiutare i pazienti.
Alle soglie della giornata mondiale della FM il prossimo 12 maggio, quali sono gli auspici per il futuro?
La nostra richiesta è di avere il codice di esenzione, la tutela lavorativa, la riduzione delle ore di lavoro o il telelavoro, l’apertura di centri multidisciplinari e i fondi per la ricerca, questi sono i nostri bisogni e diritti. Vogliamo che ci sia una collaborazione tra istituzioni e associazioni per sensibilizzare sulla fibromialgia.
Speriamo che il ministero presenti presto un disegno di legge per la fibromialgia, perché è l’unica soluzione possibile per risolvere i nostri problemi. Se nel frattempo la conferenza Stato Regioni ci inserisce nei livelli essenziali di assistenza, sarebbe già un grande passo avanti.
Chiediamo ai medici di avere le competenze per seguire e non abbandonare questi pazienti. Non vogliamo più sentirci dire che la fibromialgia è una malattia inesistente o immaginaria. Questo è offensivo e nega il nostro diritto di essere riconosciuti e curati. Può essere anche pericoloso per la nostra salute.
Il nostro sogno è che la fibromialgia sia riconosciuta e rispettata, che noi pazienti abbiamo la dignità che meritiamo, che la ricerca faccia passi da gigante e trovi una cura efficace. O almeno qualcosa che ci aiuti a migliorare le nostre condizioni fisiche e a vivere meglio. Non chiediamo troppo, vero?

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Informazioni utili
Vuoi sapere quali sono le attività e i servizi che l’Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica (AISF-ODV) offre alle persone con fibromialgia e ai loro familiari? Vuoi sostenere questa causa?
Visita il sito web sindromefibromialgica.it/
Vuoi informazioni sul registro nazionale della fibromialgia?
Puoi consultare il sito della Società Italiana di Reumatologia (SIR) www.reumatologia.it/registro-fibromialgia